
E così alla fine l’ho fatto. Era il 1997 quando l’ho letto per la prima volta. Ovviamente non sapevo a cosa andavo incontro. Fino a quel momento la mia esperienza si basava solo sui romanzi e quando ne leggi tanti poi tendi a pensare che le storie siano troppo inverosimili ma con un fondo di verità.
Ma la verità è molto molto più terribile e dopo non c’è più nulla di uguale.
E’ dal 1997 che non leggo più libri che parlano di serial killer, da quando mi sono scontrata con la realtà. E dopo tanti anni ho deciso di riprendere in mano questo libro e di rileggerlo: Mindhunter, di John Douglas e Mark Olshaker, Rizzoli. Nel link trovate la versione in ebook di Longanesi, l’edizione Rizzoli è fuori catalogo da anni.
Il libro racconta la genesi dell’unità di Scienze Comportamentali di Quantico FBI e chi la racconta è il suo fondatore John Douglas insieme a uno scrittore. Dopo più di vent’anni Netflix ne ha tratto una serie e il 16 agosto è uscita la seconda stagione.
Non mi stancherò mai di ripetere che i fatti narrati sono veri, i personaggi naturalmente sono romanzati, tranne i serial, quelli sono come sono.
Nel libro c’è un capitolo: Atlanta. Racconta di come l’unità sia arrivata a farsi conoscere al di fuori dello scantinato in cui lavorava. La seconda serie è centrata su questo capitolo e l’argomento sono i bambini, presenti in tutti e nove gli episodi: quelli spariti, quelli problematici, quelli presi in mezzo tra genitori separati.
La narrazione non si sofferma mai sulla descrizione di fatti morbosi, solo sulle investigazioni e sulle vicende personali dei personaggi, è curata e ci riporta indietro nel tempo quando ancora non si sapeva che cos’era un profilo, e soprattutto non esisteva la prova del DNA.
Mindhunter si conferma come una bella serie, da vedere se siete fan di Criminal Minds, se siete interessati alla storia del crimine o anche solo se siete curiosi, in ogni caso siate preparati perché quello che racconta non è finzione è realtà.