Il Racconto del Mese: La Sciarpa Rossa

Il racconto del mese: la sciarpa rossa di Irene Lega

E’ giunto il momento della rubrica il Racconto del Mese: ogni mese vi proporrò un breve racconto di autori esordienti, il filo conduttore sarà un capo fatto a maglia ai ferri.

Oggi si parla di un grande classico: la sciarpa!

La Sciarpa Rossa è un racconto di Irene Lega, impiegata di giorno e aspirante scrittrice di sera.

Come sempre il racconto lo potete leggere o ascoltare, buon divertimento!

La Sciarpa Rossa

E’ una cosa molto difficile scrivere. Dovrebbe essere la cosa più semplice del mondo ma non lo è. Ci sono sempre ottime scuse per non farlo e in fondo è vero che il nocciolo del problema è che è difficile prendere sul serio la scrittura.

Era questo quello che pensavo quella mattina mentre pedalavo nel traffico per andare a danza. Al collo avevo la mia bella sciarpa rossa, grande, larga, e lunga abbastanza da poterla girare due volte intorno al collo. Mi piacciono le sciarpe che si avvolgono al collo, mi sento molo coccolata, ed è una bella sensazione.

Poi l’incidente.

Una macchina svolta senza rallentare a un incrocio e mi centra in pieno. Cado, per fortuna ho il casco. Sono rimasta in ospedale per un tempo infinito e per mesi non ho saputo più nulla della mia sciarpa. La caduta mi ha procurato una frattura del bacino che ha messo del tempo a guarire e come sempre in questi casi non perfettamente. Sono stata ferma in casa per giorni interi, sbirciavo fuori dalla finestra, leggevo, guardavo la televisione e il tempo che passava. Non ho più pensato a scrivere o alla sciarpa rossa.

Poi sono guarita e la vita ha ripreso a correre.

Stavo andando in ufficio, questa volta in autobus, quando ho visto una ragazza seduta con indosso una sciarpa rossa che mi pareva identica alla mia. Non ho resistito.

-Che bella sciarpa!

-Grazie!

-Dove l’ha comprata?

-Me l’ha regalata il mio ragazzo, è una storia un po’ strana

-Davvero?

-Sì… stava andando in università quando ha visto pendere fuori da un cassonetto questa sciarpa. Gli è sembrata una cosa strana così si è fermato e l’ha tirata fuori. Ha visto che era in buone condizioni e ha pensato che se fosse stata lavata e disinfettata sarebbe stata perfetta per me, così me l’ha regalata!

-Una sciarpa gettata in un cassonetto, strano!

-Sì sa… lui un po’ fissato con l’ambiente e il riciclo, ogni tanto lo fa di guardare dentro ai cassonetti e gli capita di trovare oggetti quasi nuovi. Una volta ha trovato addirittura una lampada! Era rotta, ma la riparazione non è stata difficile.

-E gliel’ha regalata?

-No quella l’ha tenuta lui!

Non ho avuto cuore di dire alla ragazza che quella sciarpa era mia. Era così contenta: mentre parlava gli occhi le brillavano. Così quando è giunto il momento l’ho salutata. Qualcuno scendendo dall’autobus l’ha spinta e lei è caduta e ha battuto la testa. Quando è arrivata l’ambulanza non aveva ancora riaperto gli occhi. Il rosso della sciarpa si confondeva con il rosso del sangue che le colava dalla testa.

Senza sapere bene perché ho chiesto dove la portavano e l’ho seguita in ospedale. Più che altro seguivo un impulso, niente di logico, niente di razionale, ma quando mi sono trovata in ospedale mi sono resa conto della follia, stavo per uscire quando qualcuno mi ha rivolto la parola:

-Conosce quella ragazza?

-Le ho parlato prima sull’autobus. La donna aveva in mano lo zaino e la sciarpa della ragazza.

-Se vuole le tengo io le sue cose mentre aspetto i parenti.

-Grazie! E mi molla zaino e sciarpa.

Mi siedo in mezzo a decine di persone agitate e in attesa. Quando arrivano i parenti mi individuano subito e gli riconsegno lo zaino raccontando cosa è successo, poi finalmente esco, la sciarpa ben nascosta nella mia borsa.

Per qualche giorno sono stata indecisa su cosa farne. Avrei potuto restituirla o tenerla, ma non me la sentivo. Per non so bene quale ragione la tenevo sempre con me, avevo la sensazione che era meglio non perderla di vista.

Alla fine ho approfittato di una passeggiata al parco e l’ho bruciata. Mi è sembrata la soluzione migliore. Ho fatto una buca per evitare disastri e le ho dato fuoco. So che sto esagerando e che la mente gioca strani scherzi, ma l’odore che emanava mentre bruciava sembrava di pollo abbrustolito, e potevo udire chiaramente un suono, non di materiale che si distrugge, ma come un lamento.

Sono tornata a casa e mi sono messa a scrivere.

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