Il Racconto del Mese: Che mi Frega

Il racconto del mese: Che mi frega, di Giovanni Attanasio

E’ giunto il momento della rubrica il Racconto del Mese: ogni mese vi proporrò un breve racconto di autori esordienti, il filo conduttore sarà un capo fatto a maglia ai ferri.

Che mi frega è un racconto di Giovanni Attanasio ecco come l’autore si presenta:

Sono nato a Messina, ma emigrato in Germania. Scrivo sin da ragazzino e in modo professionale da un paio d’anni. Ho all’attivo una raccolta di racconti, un romanzetto e un sito pieno di storie e sperimentazioni letterarie. Scrivo senza l’imbarazzo di aprirmi né a me stesso né ai miei lettori. Mi piace dar voce a quei personaggi e quelle storie di cui nessuno vuole parlare o sentir parlare.

Giovanni lo potete trovare su Instagram e su Facebook

E ora passiamo al racconto che potete leggere o ascoltare.

Al momento di aprire, nel primo pomeriggio, c’era sempre qualche signora che lo aspettava. Si raggruppavano, poi si dividevano, qualcuna tornava dopo un pochetto, ma senza mai deluderlo: l’ora dell’apertura era sacra. Corrado fece scorrere la saracinesca e diede due giri di chiave.

«Bel tempo, eh, Corrado?»

«Sì, sì, meraviglioso. Ma lei se lo ricorda com’era luglio dieci anni fa?»

«Ah, Corrado, ma che mi dice a me? Dieci anni fa dov’era lei, all’università? Io sì che mi ricordo veramente com’era!»

Seguirono le risate liete delle altre signore, fitte nei loro scialli e giacchette. Lui aveva allestito per loro, in uno stanzino laterale della merceria, un paio di tavolini e un bollitore per l’acqua.

«Non ce la vuole comprare la caffettiera, il signor Corrado.»

«Signore mie, qua si beve al massimo tè. Il caffè vi fa male.»

«Si preoccupa della salute,» lo canzonò la signora agitando il dito contro la nuvoletta di fumo che si allontanava dalle sue narici.

«Io non fumo per abitudine o per necessità, fumo perché sennò mi tremano le mani.»

«Si cuce pure con le mani tutte storte, signor Corrado.» Rise la signora, facendogli l’occhiolino. «Venga qua ai ferri con noi, perché se ne sta sempre dietro il banco?»

Corrado lanciò un’occhiata il registratore di cassa arrugginito e spense la sigaretta. Dopo una veloce guardata agli scaffali di lane e sete d’ogni sorta, annuì: «Due minuti, eh. Poi bado al negozio.»

Ma il campanellino della porta suonò.

Le signore si sporsero tutte dalla porticina e Corrado fece loro segno di nascondersi.

«Benvenuto, come posso aiutarti?»

«Salve,» il ragazzino avanzò, una mano in tasca e l’altra stretta alla tracolla. «Lei vende seta?»

«Certo.»

«Me ne serve un po’.»

Corrado arricciò il naso, batté due dita sul banco. «A che ti serve?»

«Voglio fare uno scialle per la nonna. Ai ferri.»

«Ai ferri?»

«Non si può con la seta?»

Uscì da dietro il banco e raggiunse il giovane. Aprì la bocca, ma il campanellino suonò di nuovo.

«Michele! Mannaggia a— viè qua, disgraziato!»

Corrado distolse lo sguardo.

«Mi deve perdonare, mio figlio non l’ha capito, mi pare a me, che in questi posti non ci deve entrare.»

«Si figuri, non ha disturbato.» Colse con la coda dell’occhio lo sguardo di Michele, più grigio della lana nell’ultimo scaffale. E lì restò a guardare, in alto.

«Arrivederci. E mi scusi se ha disturbato.»

I due uscirono, solo per lasciare il posto alle signore e le loro tazze di tè.

«Ma Corrado, si fa così?»

«Così come?»

«Il giovanotto! Ti ha chiesto dei ferri, non l’hai sentito? Voleva imparare!»

«E a me? Io mica sono maestro di cucito! Oh, io qua vendo e basta, non m’interessa.»

«Ah, sentilo. E dillo che è perché è maschietto.»

Corrado picchiò il pugno sul banco.

«S’arrabbia pure. Disonesto. Lei è un disonesto, signor Corrado.»

All’ora dell’apertura solo una signora aspettava Corrado.

«Già qua?» lui alzò la saracinesca.

«Sì, caro mio.»

«Sola soletta?»

«Oggi c’è la messa, dove vive lei?»

«Dove vivo…» la sbirciò, rigirandosi il lucchetto tra le dita, «la messa, di mercoledì?»

«Questo parroco la fa quando vuole.»

«Ma sì, che mi frega.»

«A lei non frega mai niente, vero?»

«Signora,» Corrado aprì la porta solo di un filo, «a farsi gli affari degli altri non è che si guadagni granché. O sbaglio? Magari sbaglio io.»

«Sta tornando, lo sapevo. Fai il bravo, che io ti guardo.»

«Ma chi? Chi è?» Corrado seguì l’occhiata della signora, rapidissima, e scorse in fondo alla strada la sagoma del ragazzino del giorno prima. «Che è, vi siete messi contro di me?»

«Ma Corrado, per carità, quale contro e contro? Mi piangeva, quello!»

«Sì, ma a—»

«Ah, no! No, caro, fermo lì. Lei ora lo fa entrare e gli insegna a lavorare ai ferri. E la seta gliela regala pure, abbiamo capito?»

«Signora, è una questione di principio.»

«Ma che principio? E che principio c’è nel far stare male quel poveretto? Tu cuci, e allora cucirà pure lui!»

Corrado guardò il ragazzino ormai prossimo a raggiungerli. «Signora, un conto è che sia io a cucire, che ormai la vita l’ho buttata, ma quel giovane? Io non gliela rovino la vita.»

«Magari gliela sta rovinando ora, signor Corrado.» La signora lo prese sottobraccio, lo tirò a sé. «Fallo entrare, ascolta a me.»

Il ragazzino arrivò con gli occhi ancora umidi di lacrime e un bel segno rosso a fargli traballare il sorriso: Corrado contò cinque dita sulla guancia, una mano bella grossa.

«È già aperto?»

Corrado lo fissò, poi lanciò un’occhiata oltre la porta del negozio, tra le stoffe e i ferri del mestiere. «Come ti chiami?»

«Michele.»

«Va bene.» Accese una sigaretta. «Dammi due minuti, Michele. Ora arrivo. Vai a sederti nella stanza, fatti un tè.»

«Mi insegnerà a lavorare ai ferri?»

«Ma sì, a me che mi frega.» E sbuffò una nuvoletta di fumo.

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